Rosa e rosso: storia di Maria Luigia
di Dacia Maraini,
Paese Sera 6.7.'80
Maria Luigia è una ragazza robusta, bruna, con una faccia candida e
corrucciata, due
bellissimi occhi marroni liquidi intelligenti. E figlia di immigrati
meridionali.
E stata portata al Cim (Centro di igiene mentale) di Imola perché si
comportava in
modo "strano". E questo per una donna significa: uscire sola di
notte, fare l'amore con
diversi uomini senza nascondersi, avere orari stravaganti, essere
insofferente di
regole prestabilite, usare un atteggiamento ribelle. Non ultima grave
"stranezza"
da punire è stata quella di rimanere incinta senza sapere chi sia
esattamente il padre.
I genitori la cacciano di casa. Lei gira di qua e di là, finisce al
Cim che la manda
all'ospedale Osservanza dove la riempiono di psicofarmaci pur sapendo che
è incinta
e la tengono sotto "osservazione". Lei scappa. La riportano
dentro. Quindi la mandano
in una casa-famiglia a Russi dove vive con altri ricoverati in una
minuscola stanza
nuda sotto la sorveglianza di assistenti sociali. Ma Maria Luigia non
è contenta:
chiede una casa per sé e per il figlio, rifiuta di prendere gli
psicofarmaci perché
ha letto sulla scatola che possono nuocere al bambino che deve nascere.
Viene rimandata in ospedale. Il medico di guardia, il dottor Antonucci (un
guastatore
secondo i direttori dell'ospedale perché si rifiuta sistematicamente
di usare i metodi
coercitivi, non usa psicofarmaci di sorta e rimanda appena può i
cosiddetti "matti" a casa), applica la nuova legge chiedendo alla
ragazza se vuole trasformare la reclusione
forzata in reclusione volontaria (scelta prevista dalla legge e che
permette di uscire
quando se ne ha voglia). Maria Luigia decide di entrare volontariamente e
il giorno dopo se ne torna fuori.
Questo suscita le ire del medico Dirigente del Servizio Psichiatrico, il
dottor Pirazzoli,
che manda una lettera alle autorità per lamentarsi di quello che lui
chiama un '`abuso".
Il fatto è che Antonucci, quando è di servizio, trasforma
regolarmente le ordinanze di ricovero in ricoveri volontari con l'accordo
dei nuovi arrivati e questo
rende "incredibile" a detta di Pirazzoli il servizio
dell'ospedale di fronte all'opinione
pubblica.
Ma torniamo a Maria Luigia. Nonostante il fatto che la sua gravidanza
diventi sempre
più visibile, non si smette di somministrarle gli psicofarmaci,
forzatamente, per
endovena quando si accorgono che lei sputa le pillole. Una dottoressa dice
che "è
stato necessario darle il Serenase per renderla cosciente della sua
maternità". Altri medici
sostengono che dopo il terzo mese il Serenase non può nuocere al
bambino".
Ora la prospettiva è questa: appena nascerà il bambino le
sarà tolto con l'argomento
che non è "adatta" a educarlo. Al che, molto
probabilmente, Maria Luigia che ha voluto
contro ogni suggerimento di aborto, fare il figlio, si ribellerà, e
questa sarà una
buona ragione per riempirla di nuovo di psicofarmaci.
Abbiamo sentito domenica sul terzo programma una bellissima trasmissione su
questo
caso curata da Elena Scoti. Prima di tutto la voce di Maria Luigia,
ragionevole e
inquieta; la voce di una donna che in mezzo alle violenze e alle
infelicità cerca
cocciutamente di ricavare qualche momento di libertà e di allegria
per sé, senza pensare al
dopo o a "quello che dirà la gente". Poi le voci dei
medici, preoccupate, giustificative,
paternalistiche, (la maggioranza), salvo alcuni che sono disposti a mettere
in discussione tutto, compreso se stessi. Non abbiamo sentito la voce di un
gruppo di femministe
di Imola (Rita Ricci, Patrizia Sassi), che pure da mesi stanno seguendo il caso di
Maria Luigia.
Una cosa risultava chiara comunque ancora una volta: la scienza non
può essere imparziale,
come pretende, né impersonale, né disinteressata, né
apolitica.
Da una parte c'è Pirazzoli, ci sono le autorità giudiziarie,
c'è il Cim, i quali in
buona fede pensano che i "malati mentali" vadano curati con
metodi più o meno coercitivi,
li trattano come minorati, incapaci di capire e di decidere per sé;
dall'altra parte ci sono persone come il dottor Cotti, il dottor Antonucci
(ma sono una minoranza
e rischiano continuamente di essere esautorati) i quali negano ogni metodo
repressivo,
non usano gli psicofarmaci, rifiutano di legare gli agitati e tolgono le
sbarre dalle finestre.
Non c'è dubbio che i cosiddetti "matti" che poi sono
persone con grossi conflitti
familiari e sociali, una volta rinchiusi dentro gli stanzoni-prigione, e
rimpinzati
di psicofarmaci, siano più "buoni" (ubbidenti, remissivi,
docili, sottomessi, disponibili) degli altri che girano per i giardini
parlando e ridendo a voce alta e magari si
arrampicano sui tetti e magari si rompono una costola o peggio, vanno in
città e
fanno la cacca in mezzo alla strada (cosa che è successa a dei
malati di un reparto
aperto e che si porta come argomento per tentare di richiuderlo).
L'ordine e la tranquillità si ottengono facilmente con l'uso degli
psicofarmaci, certo.
Una volta c'erano gli elettroshock (e ci sono ancora in molti ospedali
italiani)
e anche quelli servivano (e servono) per tenere tranquilli gli irrequieti.
Il dottor
Pirazzoli mi ha detto (in una visita a Imola un mese fa) che
l'elettroshock, in certi
casi, se fatto bene, può servire. Ed era in buona fede, anche quando
mi ha detto
che con gli psicofarmaci i "malati" diventano più
ragionevoli, docili, ci si può
parlare, insomma.
Fatto sta che all'ospedale di Imola, ci sono dei reparti chiusi dove i
ricoverati
girano in tondo con tranquilla disperazione e dei reparti aperti (una
minoranza)
dove uomini e donne che sono stati legati ai letti per anni e considerati
irrecuperabili
ora girano pacifici, liberi di entrare ed uscire. Hanno smesso di essere
violenti e irresponsabili
nel momento in cui si è smesso di trattarli con violenza, come degli
irresponsabili.