Conversazione con Thomas S. Szasz sul pensiero e la pratica di
Giorgio Antonucci
A cura di Piero COLACICCHI ~
Questa conversazione è stata registrata a Zurigo il 28 giugno
1981 in occasione del
I Congresso Internazionale della Lega per i Diritti dell'Uomo sul tema
"Psichiatria
e diritti dell'uomo" La traduzione è stata condotta sul testo
registrato.
Apparsa su "Collettivo R" n. 26-28 Maggio '82.
P.C. Stamane il dottor Antonucci nel suo intervento ha risposto a tre
domande di fondo
poste dagli organizzatori del congresso.
I) Fino a che punto la psichiatria rispetta i diritti umani ? Antonucci ha
risposto
che i diritti umani cominceranno a essere rispettati soltanto quando la
psichiatria
sarà scomparsa, in quanto la psichiatria è esclusivamente
un'ideologia e un metodo
di persecuzione. Così come ha aggiunto non si possono eliminare i
campi di concentramento
finché non si elimina il razzismo. 2) Cosa è successo in
Italia in questi ultimi
anni in rapporto alla psichiatria? Antonucci: un primo movimento, il
più noto sia
in Italia che all'estero fu iniziato a Gorizia da Basaglia, (con il quale
Antonucci lavorò
per qualche mese) - il movimento chiamato antiistituzionale - e rappresenta
il tentativo
di trasformare e aprire gli ospedali psichiatrici con lo scopo di
eliminarli totalmente; un secondo movimento, chiamato antipsichiatrico - in
certo modo collegato con
l'antipsichiatria inglese - è un tentativo di interpretare le
concezioni psichiatriche
in una maniera diversa; e una terza posizione, secondo me più
importante oltre che
veramente utile, è rappresentata dal pensiero non-psichiatrico, che
considera la psichiatria
un'ideologia priva di contenuto scientifico, una non conoscenza, il cui
scopo è di
eliminare le persone invece di provare a capire le difficoltà della
vita sia individuale che sociale per poi difendere gli individui stessi,
cambiare la società e costruire
una cultura veramente nuova. Secondo questo punto di vista coloro che sono
vittime
della violenza sociale, e in particolare di quella psichiatrica, devono
tornare ad
essere persone libere di scegliersi la propria vita.
3) Qui a Zurigo Antonucci ha concluso proponendo che la popolazione vada a
visitare
l'ospedale psichiatrico e così si renda conto personalmente del
perché ci sono persone
chiuse là dentro. Poi intervenga per cambiare la situazione e
chiudere il manicomio.
A questo punto vorrei avere un suo commento, Prof. Szasz, al discorso di
Antonucci,
inoltre, se possibile, mi interesserebbe sapere quali sarebbero state le
risposte
sue alle stesse domande, poiché credo ci sia un parallelo fra lei e
Antonucci sia
per quanto riguarda il pensiero che la pratica di lavoro.
T.S. E vero.
P.C. Del resto in un articolo pubblicato recentemente su ''Collettivo
R.", Antonucci
stesso ha riconosciuto di dovere a lei e ai suoi libri vari aspetti del suo
modo
di pensare e di lavorare.
T.S. Sì, sono d'accordo su questo suo modo di esprimersi: c'è
senz'altro una concordanza,
un accordo di fondo. Anch'io non parlerei di differenza di opinioni, il che
sarebbe
senz'altro troppo forte. Potrei dire invece che Antonucci ed io ci troviamo
a sottolineare aspetti diversi di uno stesso punto di vista generale.
Diciamo che se stessimo
descrivendo una casa di sei o sette stanze io potrei soffermarmi
sull'importanza
di una stanza invece che di un'altra, ma siamo d'accordo sulla casa nel suo
insieme:
in questo caso che la casa è tutta da demolire.
E ora riprendiamo il discorso punto per punto per fare un lavoro
sistematico come
me lo ha proposto lei.
P.C. La prima domanda era: fino a che punto la nuova psichiatria rispetta i
diritti
umani?
T.S. Vorrei dichiararmi subito d'accordo con quanto ha detto Antonucci, e
cioè che
la nuova psichiatria, la vecchia psichiatria, chiamiamola come vogliamo,
è principio
e pratica di violenza: quindi, se siamo contrari alla violenza, la
psichiatria va
abolita.
Vorrei però aggiungere una precisazione, anche se più
semantica, e in realtà un po'
complessa per una conversazione così breve. Noi, parlando di
psichiatria - dico noi
per dire io ma penso anche Antonucci - intendiamo parlare di ciò che
è tradizionalmente
chiamato ''asylum psychiatry", cioè psichiatria ospedaliera,
psichiatria dei manicomi,
eccetera, piuttosto che psicoterapia intesa come attività privata,
dato che io non
considero tale pratica come psichiatria, e cioè come medicina. Non
è questa la casa,
per riprendere l'immagine di prima, di cui stiamo parlando.
P.C. Infatti. Quello che lei dice mi fa venire in mente una frase dal libro
Vicoto
Cannery di John Steinbeck: "il diritto che ha un uomo di uccidersi
è inviolabile,
ma a volte un amico può rendere non necessario questo atto".
T.S.... e se è amico ha il dovere di aiutarlo!
P.C. Insomma il fatto è che non si tratta di problemi medici, sono
cose che non hanno
nulla a che vedere con la medicina.
T.S. Esattamente, non sono problemi medici. Ma c'è di più:
bisogna che aiuto non significhi
mai coercizione né che una coercizione venga mal giustificata come
un aiuto.
Con questo penso di aver dato la mia risposta alla prima domanda.
P.C. La seconda domanda era: cosa è successo in Italia in questi
ultimi anni nei rispetti
della psichiatria. E la risposta di Antonucci prendeva in esame le varie
posizioni
a cominciare da quella anti-istituzionale di Basaglia...
T.S Ecco, esaminiamo queste posizioni una per volta. Per quanto riguarda
quelle legate
alle istituzioni, in un certo senso ne abbiamo già parlato
rispondendo alla prima
domanda. Però anche qui vorrei fare una breve precisazione
estremamente concisa anche
questa volta, dato che si tratta di argomento che richiederebbe molto
spazio.
Brevemente vorrei sottolineare il fatto abbastanza ovvio che esistono due
categorie
di situazioni che tradizionalmente hanno portato la gente a finire in
ospedale psichiatrico,
dove sono poi diventati ricoverati fissi. I più vi sono stati
trascinati in un modo o in un altro contro la loro volontà, e sono
persone che, invece, la vita se
la sarebbero potuta organizzare da sole.
Però esiste anche un altro gruppo di persone per le quali ritengo
sia necessario prevedere
un certo spazio - e lasciamo stare per ora il loro numero, che è
faccenda complessa
ed esula dal nostro tema -: ci sono stati individui, nel passato, e ci sono
individui oggi, in America ma, immagino, anche in Italia o qui in Svizzera,
che, per qualche
ragione -- né mi interessa in questo momento accusarle, queste
ragioni: diciamo per
questioni loro, per problemi o incapacità loro delle famiglie o
della società, per
problemi di carattere economico particolare o altro -- semplicemente non ce
la fanno
ad andare avanti e sono più che contenti di ritirarsi in istituzioni
che diano loro
un rifugio. Un po' come una volta tanti si ritiravano nei monasteri o nel
deserto
oppure si iscrivevano alla Legione Straniera. Ecco, io non sarei veramente
d'accordo sull'eliminare,
attraverso leggi, tale possibilità di scelta. Cioè, lei
capisce, questa scelta verrebbe
a mancare al momento che venissero chiusi tutti i così detti
ospedali psichiatrici, mentre a me piacerebbe lasciarla purché
però non sotto il controllo della
medicina, non sotto controllo psichiatrico: questo sì è
proprio estremamente importante.
Bisogna tener presente che questa è una necessità a cui dava
risposta la psichiatria e che tale funzione degli ospedali non andrebbe
eliminata... altrimenti si finisce,
come si dice in America, con il "buttar via l'acqua con il
bambino".
Ripeto, la psichiatria manicomiale è al novantanove per cento
malvagità e violenza,
però fra le sue funzioni c'era anche quella di dare un tetto e
qualcosa da mangiare
a chi non ne aveva. Bene, uno spazio che provveda a queste necessità
va conservato:
è questione di coscienza e di senso comune.
P.C. A questo proposito mi farebbe piacere che lei venisse a Imola a vedere
quello
che ha fatto Antonucci per rendere possibile l'esistenza a quei ricoverati
che, dopo
anni di violenza psichiatrica, non hanno mezzi e prospettive per vivere
fuori.
T.S. Lo so e sono ansioso di vernici. Ma, per tornare a quanto dicevamo, ho
l'impressione,
da quanto ho letto e visto del lavoro di Basaglia -- e non vorrei
sbagliarmi, dato
che non sono poi così al corrente con quanto è successo in
Italia -- ho l'impressione, dicevo, che lui fosse un po' troppo disinvolto
nel chiedere che fossero abolite
le istituzioni. Forse lasciava troppo spazio anche all'abolizione di questa
funzione
che io consideravo positiva.
P.C. A parte il fatto che non è stato abolito mica tanto!
T.S. Giusto, ottimo!
P.C. Allora passiamo al secondo movimento che è quello
antipsichiatrico, quello, per
intenderci, collegato con l'antipsichiatria inglese di Laing, Cooper
eccetera, che
Antonucci definisce "un tentativo di interpretare concetti
psichiatrici in maniera
diversa".
T.S. Sono completamente d'accordo con tale definizione e penso, spero, che
Antonucci
sia contrario a quel movimento.
P.C. Naturalmente, è quanto ha detto tante volte.
T.S. Anch'io sono completamente contrario. L'antipsichiatria è in
errore esattamente
come la psichiatria tradizionale. Anche se, per quanto ha rappresentato una
critica
alla psichiatria, cioè a quella tradizionale, va anche difesa. Su
questo punto bisogna
essere molto chiari.
P.C. Infatti l'ordine con cui Antonucci ha esposto i vari movimenti
rappresenta un
giudizio sistematico, un modo di avvicinare criticamente la situazione.
T.S. Anche in questo caso mi sembra che Antonucci ed io siamo quasi - direi
anzi completamente
- d'accordo. Penso che quanto affermano gli antipsichiatri inglesi e
cioè, come piace
dirlo a me, che: a) la schizofrenia non esiste; b) che loro sanno curarla,
dimostri la loro disonestà e stupidità. E questo è
proprio psichiatria... ed è un
peccato.
P.C. La terza posizione, quella di Antonucci e quella che, secondo noi
è, a questo
riguardo, anche la sua, è quella rappresentata dal pensiero
non-psichiatrico, che
considera la psichiatria un'ideologia senza contenuto scientifico...
T.S. Sono completamente d'accordo. Anzi è peggio: è un
contenuto pseudo-scientifico,
il che è peggio che non scientifico. Si tratta di una scienza
fasulla.
P.C....che ha lo scopo di eliminare le persone invece di capirne la storia.
T.S. Giusto. Perciò il nostro compito consiste nel tornare dal gergo
e dal linguaggio
pseudo-scientifico, dall'ideologia psichiatrica, al linguaggio di tutti i
giorni
e affrontare quei problemi di morale, quei problemi economici, politici e
umani che
la psichiatria nasconde.
P.C. Ed è su queste basi che Antonucci è arrivato all'ultimo
punto del suo intervento,
cioè alla proposta. Proposta legata alla sua esperienza di Reggio
Emilia, quando
convinse gruppi di persone ad entrare, in certo modo con violenza, dentro
il manicomio.
Antonucci aveva detto alla popolazione, e dimostrato con fatti, che i
ricoverati si
trovavano in ospedale psichiatrico per ragioni che non avevano niente a che
fare
con i problemi veri della loro vita. Ciò che li aveva condotti al
manicomio erano
le idee e il potere degli psichiatri e tali ricoveri erano in totale contrapposizione ai loro
bisogni reali. Il risultato fu che più di cinquecento persone -
contadini, operai
e studenti - entrarono a forza nel manicomio di San Lazzaro: e molte
capirono bene
attraverso quell'esperienza cosa significhi psichiatria.
Fra le varie conseguenze ci fu una diminuzione dei ricoveri e il fatto che
molti,
anche fra quelli che lavoravano nei "gruppi di igiene mentale"
smisero di usare il
gergo psichiatrico, o meglio, ancora più importante smisero di
pensare in termini
di psichiatria. Quelle persone, entrate a forza nel manicomio, videro con i
loro occhi in che
condizioni erano tenuti i loro concittadini e fecero domande, domande
precise.
Una donna rispose "sono dentro perché non andavo d'accordo con
mio marito e lui, con
l'aiuto di uno psichiatra, mi fece rinchiudere. Sono qui da vent'anni".
Problemi di rapporto fra marito e moglie: perché la psichiatria ?
T.S. Infatti.
P.C. Un altro era un contadino, un partigiano, a cui i tedeschi avevano
fatto scavare
la fossa per fucilarlo e che poi, all'ultimo momento, era stato lasciato
andare.
Questi, dopo una tale esperienza viveva pieno di paura, di una paura
tremenda e non
riusciva a dimenticare. Ora, da trent'anni, era là, rinchiuso in
manicomio, invece di ricevere
aiuto.
T.S. Tremendo. Però non ho capito bene se nel suo discorso era
implicita una domanda.
Può rifarmela?
P.C. Antonucci ha proposto alla popolazione un intervenuto diretto nelle
istituzioni
non solo allo scopo di criticare la teoria e la pratica psichiatriche, ma
perché
tutti si rendano conto dei problemi reali alla base dei ricoveri. Vedere i
problemi
veri della società e degli individui significa far crollare le
fondamenta stesse della psichiatria.
Lei cosa ne pensa di questa proposta?
T.S. Non so bene cosa posso dirne in così poco tempo e non vorrei
apparire troppo
pessimista, ma quest'idea mi piace diciamo così, nel cuore ma non
nella testa.
Le spiego perché: una delle ragioni per cui ci sono problemi di
questo tipo in questo
mondo -- e dopo tutto ci sono tanti altri problemi nel mondo oltre quelli
legati alla
psichiatria -- è che la maggior parte delle persone, quasi sempre,
non vuole sapere
cosa veramente succeda, anzi vuole negarlo; e usa proprio la psichiatria
per negarlo.
Quando lei e Antonucci sostenete che le persone devono andare dentro gli
ospedali
psichiatrici a vedere quello che vi succede, date per scontato che lo
vogliano sapere,
mentre l'evidenza mi dimostra il contrario: non lo vogliono sapere affatto.
Le dirò di più, per precisare meglio il mio punto di vista:
io non credo che sia necessario
entrare in un manicomio per sapere quanto sia terribile, così come
non c'è bisogno
di andare ad Auschwitz o in una piantagione con schiavi per sapere quanto
siano tremende. I manicomi ormai sono stati descritti per ogni verso da
almeno cento anni,
da Cechov, da Ken Keasey nel suo libro "Qualcuno volò sul nido
del cuculo", da me
e da tanti altri. Se ne può leggere in articoli, in libri; se ne
può pensare, si
possono leggere testi classici, per esempio quelli di Shakespeare, e
rendersi conto attraverso
i loro scritti che il termine "malattia mentale" non significa
niente. E per questo
che mi fa più impressione l'ambivalenza della gente, della gente
diciamo così qualsiasi, di fronte a questo problema: da una parte si
sente spinta ad una certa compassione
nei confronti dei cosiddetti malati mentali, o persone con problemi, ma, da
un'altra
parte, non vuole averci niente a che fare. In un modo o in un altro, con
ogni sforzo, tende a cercare una maniera comoda per mantenere le distanze
fra sé e chi sta male:
cosa che ottiene tramite la psichiatria.
Vede, è la persona qualsiasi, secondo me, il complice, anzi il
mandante dei crimini
perpetrati dalla psichiatria: sono l'uomo e la donna qualsiasi, l'avvocato, il poliziotto,
il legislatore, il giudice, i cospiratori, anzi, come dicevo, i mandanti
degli psichiatri. Lo psichiatra non è altro che un servo, non fa che
eseguire.
E per questo che io penso che il nostro compito, adesso, sia più che
altro quello
di educatori morali, come coloro che si trovarono al momento culminante
dell'Inquisizione
o della schiavitù, quando la maggioranza era favorevole a quelle
istituzioni allora
dominanti. Oggi la maggior parte della gente - anche qui, in un paese
altrimenti piacevole
come la Svizzera - non vuole sapere cosa succede negli ospedali.
Ora stia a sentire: in questi ultimi due giorni, qui al convegno non si
è fatto che
descrivere ripetutamente crimini della psichiatria. Bene: quando sono
tornato, oggi
dopo pranzo, era ancora presto e mi sono fermato a chiacchierare con le tre
signorine
che tengono il banco dei libri. Lo sa che cosa dicevano? Abbiamo fatto un
po' amicizia
e alla fine mi hanno confessato: ''Sa, abbiamo sentito tutte queste
critiche alla
psichiatria eppure non ci sembra possibile che sia vero".
P.C. Lo so, lo so. Ma si tratta anche di conformismo.
T.S. Certo, è conformismo, è non voler sapere. Ma c'è
un altro fattore molto, molto
importante: la professione medica - psichiatri e dottori - ha in qualche
modo il
ruolo combinato di sacerdote e buon padre e madre, e la gente non vuol
sapere...
P.C. E di protettori del moralismo...
T.S. Certo, e di protettori del moralismo. Nessuno sa quanto possono essere
pericolose,
addirittura malvagie, persone con questo tipo di potere, morale e politico.
Ora io
penso che siano queste le cose che dobbiamo porre in discussione e cercare
di far
arrivare alla gente, e ciò si può fare sia educando che nel
modo seguito da Antonucci
in Italia... Secondo me bisogna usare tutti i sistemi possibili
perché il metodo
migliore può essere diverso da un paese all'altro e secondo il
temperamento e le
tradizioni locali. Io penso che gli italiani siano, in un certo senso,
più portati alla comprensione
reciproca che non gli scandinavi, per esempio, o gli americani, e forse il
vostro
metodo va meglio in Italia che non qui in Svizzera.
P.C. La cosa importante, in ogni modo, è criticare fino in fondo
tutto quel che la
psichiatria rappresenta.
T.S. E poi c'è un'altra cosa: si dà il caso che la nostra
critica totale sia giusta
al cento per cento e che la psichiatria sia al cento per cento menzogne.
Tocca a
noi sfruttare questo vantaggio.