I miei capelli arruffati
i miei capelli arruffati sfidano il pettine.
lo mi consumo, e chi se ne accorge?
Anonimo cinese
Quando mi hanno portata qui avevo dodici anni. Mio padre era morto da
una settimana.
Mia madre l'hanno portata via che gridava e non ho saputo più nulla.
Non sapevo bene
che cosa volesse dire morire e non avevo capito granché di quello
che mi succedeva.
Quando da bambina passavo le ore intere e spesso anche le giornate
dall'alba al
tramonto sotto il sole infuocato seduta sulle radiche degli ulivi, oppure
quando
sentivo il profumo della terra e il mormorio chioccio delle galline quando
passavo
le sere senza stelle ad ascoltare nel buio i canti degli animali notturni,
non avevo avuto
motivo di aver paura di vivere. La tempesta mi pareva una gioia del cielo e
un'amica
degli alberi. Il vento mi raccontava novelle piene di splendori e mi dava
notizie
di luoghi al di là dell'orizzonte. L'acqua del fiume era bella come
la luce del sole. Infine
il silenzio, il silenzio della campagna nelle notti di quiete e nei
pomeriggi di
sole! Gli odori della terra non si cancellano attraverso gli anni, eppure
io sono
stata salvata dal silenzio, dal trasparente silenzio della mia infanzia: il
silenzio in cui
sono nata, il silenzio in cui sono cresciuta... e ora, dopo mezzo secolo,
il silenzio
in cui vivo, dimenticata da tutti.
Mio padre si era dovuto tagliare un dito, perché gli era divenuto
marcio dopo una
puntura con la falce, però lavorava bene lo stesso con le altre dita
e con tutt'e
due le mani quando legava le viti. Ricordo che allora i pagliai erano
cupole tutte
dorate. Allora quando andavamo al campo del grano usava la vanga per
rigirare la terra e
la zappa per rompere le zolle e si asciugava la fronte con la manica della
camicia
e beveva il vino dal fiasco per sopportare i raggi infocati del sole, e tra
una giornata
e l'altra, quando arrivava il sollievo della sera, appoggiava la schiena
sul vecchio
mandorlo, socchiudeva gli occhi, e cantava.
La porta di legno duro, con tutta la forza delle unghie non si potrebbe
neanche
scalfirla. La luce l'accendono dall'esterno dopo aver guardato dallo
spioncino. Le
chiavi, quando cigolano nelle serrature, sembrano un rodimento ai polmoni.
Il letto
è inchiodato a terra, la mia bocca è fissata alla spalliera
da un lenzuolo bagnato. Ogni
tanto mi slegano per pulire e mi tengono a distanza con un punteruolo. La
maschera
sulla bocca m'impedisce anche di sputare. Mordere non potrei perché
non ho più denti.
Nessuno può restituirmi quello che mi è stato tolto.
Eppure ancora oggi sarei disponibile a viverla con gioia la mia vita,
nonostante
che la mia giovinezza sia stata uccisa qui dentro46.