Intervista al dott. Giorgio Antonucci su Teresa B.
D: Abbiamo ritrascritto in modo integrale la cartella di Teresa B., che tu
hai incontrato
a Imola all'ospedale psichiatrico dell'Osservanza quando sei diventato
responsabile
del reparto 14. Ci puoi raccontare brevemente come hai trovato le persone
nel reparto e, in particolare ci puoi parlare di Teresa?
R: Il reparto era tutto chiuso come un cubo nel senso che c'erano dei muri
che io
dopo ho fatto buttare giù, delle porte di ferro che sono state
sostituite con porte
a vetri, i vari locali: la sala d'ingresso attuale, poi c'è un
piccolo corridoio
che porta al corridoio delle stanzine. Le varie parti erano tutte chiuse,
vale a dire che da
una stanza all'altra si passava solo aprendo le porte con le chiavi, c'era
un'infermiera
in ogni locale con le chiavi pronte, nel senso che un certo numero di
persone stavano in una sala con l'infermiera, poi, porta chiusa, altra sala
con infermiera e chiavi.
Un cortile recintato con alte mura era l'unica possibilità per poter
stare all'aria,
poi, all'interno, c'erano le stanze (le celle) a due letti, in alcuni casi
come per
Teresa per una persona sola, quando era ritenuta particolarmente pericolosa
Dunque
arrivavi e ti trovavi la porta chiusa con lo spioncino. Si possono ancora
vedere le impronte
delle unghie, all'interno, delle persone che erano slegate e tentavano di
uscire,
di aprire [vedi foto].
La Teresa era la persona ritenuta la più pericolosa di tutte nel
reparto delle "pericolose",
era quello che con termini molto usati ora si chiama "il mostro",
lei era considerata
il "mostro di Imola". Dunque quando io arrivo intanto, dovevo
passare tutte queste barriere (anche Noris, mia moglie, ha visto questa
scena tanto che mi disse:
Cosa ci fai qui dentro, non puoi mica farci nulla; è una cosa
tremenda, assurda,
è una camera di tortura). Arrivati davanti alla porta vedevi solo
dallo spioncino;
di Teresa dallo spioncino vedevi solo gli occhi e i capelli, perché
lei aveva la maschera (descritta
come museruola nella cartella, all'annotazione del 1714171) poi aveva la
camicia
di forza toracica che la teneva fissa al letto, le cinture di contenzione
alle gambe e ai polsi, per cui era come una mummia.
D: Perché la maschera gli copriva interamente la bocca, per
impedirgli di sputare?
R: Sì, la bocca e quasi tutto il viso, come quando i banditi fanno
le rapine e si
mettono la maschera fino agli occhi. Nel caso di Teresa la maschera, era
fissata
con delle cinture di cuoio al letto. Quindi io vedevo solo gli occhi di
Teresa e
accanto a me l'infermiera aveva paura.
Ho cominciato a slegarla, ho cominciato da una mano. A volte, anche prima
che arrivassi
io, tentavano di slegarla. Tutti i giorni dovevano slegarla per pulirla.
Naturalmente,
andavano in diverse infermiere perché quando lei veniva slegata,
faceva quello che poteva, picchiava; è anche una donna forte.
Una delle prime difficoltà sta nel rendersi conto che gli stessi
degenti finiscono
con il rifiutare essi stessi di essere slegati. Ad esempio nel caso di
Teresa, le
slegavano una mano e mentre l'infermiera tentava di darle da mangiare lei
le graffiava
il viso; a quel punto la rilegavano e la picchiavano. Tanto che molte di
loro che sono
state legate non hanno più denti sia a causa dell'elettroshock e sia
perché le alimentavano
con la sonda. Mi hanno raccontato le infermiere che se le degenti
rifiutavano di
aprire la bocca, venivano forzate e nell'"operazione" partiva
anche qualche dente.
Si trattava di cominciare a slegarla contro il parere dei medici. Anche se
il reparto
dipendeva interamente da me, il medico precedente si ritirò subito e
così le infermiere,
avevano paura, e si capisce anche perché avevano paura, data la
situazione, il modo abituale di pensare e il fatto che tutto sembrava
andare contro la volontà dello
stesso paziente. Ma dopo un mese, che io ho trascorso interamente nel
reparto notte
e giorno, perché non c'era solo Teresa nel reparto c'erano
quarantaquattro donne,
di cui una trentina erano legate in continuazione, mentre le altre stavano
slegate qualche
ora al giorno. C'era tutto questo lavorio di legarle e slegarle.
Dopo un mese ho consegnato alla direzione i mezzi di contenzione in un
sacco accompagnato
da un biglietto con su scritto: "QUESTI STRUMENTI DI TORTURA DEVONO
USCIRE DA UN
REPARTO OSPEDALIERO".
Ogni volta che prendevo un reparto facevo questo lavoro, slegavo tutti e
poi consegnavo
i mezzi di contenzione. Perché consegnarli ? Perché fino a
che si tengono lì, anche
se non si usano, sono una possibilità terroristica. Quando mandai
tutto via lo feci
sapere ufficialmente a tutti, infermieri e degenti: era finita!
La Teresa è quella che si è rifiutata per più tempo di
essere slegata, perché aveva
paura di quello che avrebbe fatto lei stessa, perché lei sapeva che
una volta slegata
avrebbe picchiato gli altri, e gli altri l'avrebbero repressa duramente,
allora preferiva "stare tranquilla".
Tante volte ho sentito dire dagli psichiatri che "i pazienti stessi
vogliono stare
legati", ma bisogna capire il perché. E un po' come gli
imputati di Stalin che dicono
di avere torto e che ha ragione Stalin.
Bisogna sapere il perché. Teresa ora, ognuno la può vedere,
purtroppo non se ne è
andata via, è una persona con cui si comunica bene. Dal punto di
vista biologico
c'è da dire che, oltre alla muscolatura rovinata, i denti che non ha
più, altri seri
e delicati disturbi fisici, per i quali in genere si interviene
chirurgicamente e che invece
sono spariti quando lei è passata dalla condizione di donna legata
costantemente
al letto a quella di donna libera che può camminare, uscire, andare
dove vuole.
D: Tu hai tolto a lei come a tutte le altre gli psicofarmaci? Dalla
cartella risulta
che veniva pesantemente imbottita di psicofarmaci, e nonostante questo
continuava
giustamente a ribellarsi.
R: Si è trattato di buttare giù le porte e i muri, di
togliere i mezzi di contenzione,
e questa è la costrizione fisica, di convincere le infermiere a
tenere le porte aperte
e contemporaneamente togliere gli psicofarmaci e portarne avanti un'opera
di cambiamento di cultura con le infermiere, perché smettessero di
fare ricatti.
VANNO TOLTE LE STRUTTURE FISICHE DI REPRESSIONE MA ANCHE LE
STRUTTURE FARMACOLOGICHE
E LE STRUTTURE PSICOLOGICHE; QUESTO E IL LAVORO CHE UNO DEVE FARE CONTRO IL
VERO
MANICOMIO.
Partire dalla "camera di tortura" e arrivare alla
"residenza" come è ora. Teresa è
una delle tante persone, ma era quella che più ha fatto paura. Mi
ricordo che i primi
mesi che ero all'Osservanza i medici non parlavano della liberazione di
quarantaquattro persone del 14, parlavano del fatto che Teresa B. era in
libertà, tanto che un medico
che la conosceva bene mi disse: "Stai attento, che qualche volta ti
può saltare addosso
e staccarti i coglioni". Questo per dire cosa pensava di Teresa B. uno
dei medici responsabili del manicomio. Quest'ultima non ha fatto male a
nessuno tolto che nei
primi tempi quando c'erano molti litigi, adesso non succede neanche
più.
Talvolta va anche fuori per Imola ma non le interessa molto, ci può
andare quando
vuole. Lei ora vuole essere lasciata in pace, è molto contenta
quando viene a trovarla
qualche familiare, ha una figlia e raramente viene a trovarla. Teresa fu
ricoverata
a 21 anni dopo la nascita di questa figlia, durante il puerperio. Una donna
attraversa
dopo il parto un periodo difficile e può stare male e deve essere
curata fisicamente
perché c'è un cambiamento di situazione ormonica, fisica, psicologica. Naturalmente
lei era contadina povera: faceva la casalinga e lavorava nei campi, aveva
un periodo
di debolezza fisica e dei problemi psicologici normali di una donna e
probabilmente
non riusciva a lavorare come prima. A quel punto avranno chiamato un
medico. Magari
era sufficiente un semplice periodo di riposo. Mentre il medico ricorre
allo psichiatra.
L'hanno presa e mandata al manicomio, un primo ricovero a Bologna dove
è stata sottoposta
a elettroshock e insulinoterapia ed il secondo qui a Imola, dove si trova
ormai da
trentatré anni.